• Apriamo le nostre mani alla gioia della Vita

C’est la vie

C'est la vie

Introduzione

 

Molte definizioni sono state date nel tempo alla poesia, intesa sempre come un percorso, una
straordinaria metafora sulla vita che, di volta in volta, caso per caso, adegua la sua espressione all’infinita varietà delle esperienze umane, alle molteplicità del divenire esistenziale. E così sarà per sempre, fino a quando l’uomo continuerà ad interrogarsi sull’esistenza, ponendosi domande potenzialmente aperte che null’altra scienza, neppure la filosofia, potrà esaudire. Anche Michele, per paradosso, inizia la sua raccolta con un’apparente banale domanda: cos’è la poesia? Questo postulato nasconde in verità l’intima storia di un’anima, in un segreto percorso che sfocia e si affida alla parola come necessità morale; la domanda “cos’è la poesia” non è più domanda, è un’ inquietante vissuta testimonianza di valori. Immaginate allora di primo mattino, percorrendo una strada deserta, di avere l’improvvisa visione di una luna rossa, immensa, che segna i tuoi pensieri ancora assiderati dal fresco del mattino; immaginate al crepuscolo, nella luce incerta e bidimensionale dei lampioni, la figura vitrea di una ragazza all’altro capo del ponte, linea malinconica
e di sfuggente amore; e immaginate ancora di essere a due passi dall’amore e non incontrarvi, non
incontravi mai. E se questa è la vita, cos’ è dunque la poesia nell’eterno infinito farsi delle esperienze umane? Posta dunque la domanda, Michele ci porta all’interno di un viaggio incredibile; c’introduce in suoni puri, in essenze dal colore etereo, in segni dal valore metafisico, immagini isolate e assolute. Arriviamo così alla prima risposta su cos’è la poesia per Michele: la parola è un’entità taumaturgica; essa arriva solo quando ha la capacità di sedare, acquietare l’ansia provocata da un’emozione forte, irripetibile, unica anche se ancora inquietante. Taumatorgia dell’anima, avvolta nelle perenni attese, dove si addensano le parole che non ti ho mai detto, le emozioni che purtroppo non ti ho mai svelato, i sentimenti che in altro modo non ho saputo esprimer ti e svelare. Poesia come atto di purificazione lirica, dove l’oggetto del raccontare, pur mantenendo la sua densità emotiva, diventa memoria, la melanconia diventa nostalgia, ogni gesto perde la sua storicità. E così si arriva alla seconda risposta di Michele sulla poesia: questa funzione filtrante, sedativa, purificatrice della poesia sulla vita, isola fortemente la sua parola: nel verso ogni sua parola è scelta, cadenzata, mirata, assoluta. La parola tende ad una dimensione metafisica perché è già oltre la necessità del raccontare, del dire, del comunicare l’accaduto; si passa così dall’episodio all’idea, dall’avvenuto al simbolo, dall’esistere all’essere in sé. La trasposizione metafisica dell’accaduto è come guardare dall’alto con distacco e con serenità ogni cosa e questa perdita di possesso dell’oggetto in

se, questa interessante lezione di non necessità delle cose, questa capacità di contemplare attraverso un vetro metafisico orientano la poesia di Michele in due direzioni finali: o verso una dizione arcaica e mitologica (frequente l’evocazione mitologica nei suoi immaginari) o verso una sorridente bonaria cadenza ironica. Quello che potrebbe essere, ad una prima lettura frettolosa, una sensazione di vaghe parole in libertà, dal sapore futurista/ermetico, diventa invece una interessante lezione d’amore sulla vita,

propria di una interiorità serena, distaccata, in pace con se stessa. E voi, peregrini d’amore, non cercate subito il filo che si è perso, ma rare emozioni che magari avete dimenticato. La lettura perciò va fatta piano,
piano, pianissimo …

Prof. Amedeo Bortoletto

 

 

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