• Apriamo le nostre mani alla gioia della Vita

Bepi Marini calzolaio

a cura di Isidoro Rossetto

– Dal Mattino di Padova del 3 Ottobre 2002
Lo scarparo Bepi in un libro
Novant’anni di ricordi e un mestiere ormai dimenticato

Bepi Marini a quasi 90 anni (li compirà a marzo) non ha ancora abbandonato la sua attività di calzolaio. Un mestiere quasi scomparso. La storia di questo «scarparo» è una storia semplice. La storia di una persona che si è faticosamente ritagliata una vita dignitosa tra le difficoltà di un periodo fatto di guerre e povertà, con una di quelle attività artigianali che richiedeva capacità e passione. La vicende della sua vita sono state raccolte da Isidoro Rossetto attraverso una serie di conversazioni, prima utilizzate per il suo lavoro di maestro, e ora pubblicate in un volume. Anche il padre di Bepi Marini faceva il calzolaio. Lavorava per una piccola fabbrica di scarpe a Padova e alla sera faceva qualche lavoretto a casa sotto il lume a petrolio.
Forse ricordando quella scena Bepi Marini pensò di fare anche lui quel mestiere. Dopo aver provato varie attività, andò ad imparare il mestiere come apprendista da un calzolaio del paese, dove lavorò per quattro anni senza una lira perché allora il fatto di imparare un lavoro era già una ricompensa. Poi si mise in proprio. Oltre a lavorare autonomamente, realizzava scarpe per Penzo, laboratorio artigiano con tre negozi in centro a Padova. Era un lavoro da lavorare tanto e «ciapare poco» ricorda Marini. Il tempo impiegato per confezionare un paio di scarpe era molto in proporzione al guadagno. Per guadagnare di più decise di fare l’ambulante. E vendere direttamente le scarpe che faceva. Un tempo il mestiere dell’ambulante era molto diffuso, specialmente in campagna dove la gente era abituata a comprare quasi tutto da quei venditori che passavano di casa in casa. «Era un servizio che si faceva andando per le case – dice Marini – basta pensare ai “fornari” che arrivavano anche nelle case più lontane del paese». In bicicletta con il carrettino, Marini raccoglieva casa per casa le scarpe da riparare e vendeva qualche paio di scarpe nuove. Anche l’attività del calzolaio Marini seguì le vicende economiche dell’Italia. La gente cominciava ad avere più soldi e a comprarsi qualche paio di scarpe in più. Ma aumentando la richiesta anche le scarpe cominciarono ad essere fabbricate in serie. «Così – conclude – i calzolai sono scomparsi. Senza che la gente se ne sia accorta».  Renato Martinello – LIMENA.

 

“In occasione della festa del 1° Maggio, è stata presentata a Limena l’opera “Bepi Marini, calzolaio”.
Riportiamo qui la Prefazione del Prof. Francesco De Vivo”

Ancora una volta mi accingo a stendere poche note a titolo di ‘prefazione’, ma in questa occasione mi accorgo di trovarmi di fronte ad un impegno tutto particolare, perché si tratta di un lavoro alla cui stesura ha contribuito un notevole numero di persone: in primis la figura del protagonista, Bepi Marini calzolaio; in secondo piano, colui che per brevità definirò ‘l’intervistatore’, Isidoro Rossetto (del quale, proprio di recente, ho recensito il “Da via Bocche, nel Paese degli Zii”); in terzo luogo, tutta una schiera di

fanciulli-scolari, che, in una simpatica raccolta di lettere al Protagonista, gli hanno in breve espresso quanto loro avevano raccolto dalla narrazione della sua vita (una simpatica autobiografia). Facile quindi comprendere la difficoltà di colui (e sarebbe… il quarto) nel momento in cui è chiamato a compiere lo sforzo di accostare le sue impressioni alle impressioni degli altri nella forma più delicata, tale da non travisare né le intenzioni, né il significato dell’apporto dei singoli. C’è un maestro che , fra i compiti, ha quello dell’insegnamento della storia. E ci sono degli alunni che inseriscono, più o meno scientemente, codesto insegnamento nella formazione della propria personalità. Non si dimentichi, a tale proposito,

quanto diceva Cicerone: “Si ignores quid acciderit ante quam natus sis, id est semper esse puerum”.

(Se ignori quel che accadde prima che tu nascessi, ciò significa rimanere sempre fanciullo.)

E la storia ha bisogno di documenti, ecco allora, il “documento parlante”. Il maestro si fa intervistatore, e l’intervistato è una persona nata nel 1913 (il nostro Bepi Marini calzolaio), persona che assomma in sè una memoria prodigiosa, che lo porta al periodo dell’infanzia, al periodo delle elementari, ai primi

lavori in pace e in guerra. Lavoro che l’interessato rivive, più o meno consapevolmente, proprio secondo  le Scritture, là dove il Signore creò l’uomo e lo pose nell’Eden “ut operaretur”(perché lavorasse).

Lavoro che non è da intendersi come punizione, ma come elemento essenziale della natura umana, tale è però soltanto se si struttura nelle sue tre parti: ideazione, scelta della via, attuazione. Assai interessante, inproposito, la descrizione del lavoro nella fornace, lavoro che, come altre attività esercitate da Bepi Marini, si inserisce in una struttura fondamentalmente agricola, quale era la vita di quei paesi nei primi decenni del Novecento.

Ecco, per i ragazzi, l’inevitabile confronto tra passato e presente. La specificità del lavoro non la si ha nella mera esecutività, quanto nelle tre parti cui si è accennato. Per cui, solo in questo caso si evita il processo di alienazione: e il lavoro del calzolaio è veramente emblematico.

E che dire della vita militare? Bepi ha vissuto il suo dovere di soldato e graduato all’insegna della serietà del compito affidatogli senza cessare di essere uomo, senza nessun ritegno verso i momenti di paura. Chi come colui che scrive queste note – ha vissuto il dramma dell’ultimo conflitto, può forse rimanere perplesso di fronte a come Bepi ha toccato per esperienza personale il dramma dell’internamento nei campi di lavoro coatto: poche pagine senza retorica, dedicate alla ricerca di un alimento per la pura e semplice sopravvivenza, (le…famose patate).

E il nostro protagonista vive da uomo nel ricordare attese, speranze, timori,veri e propri drammi legati alla vita con la sua dolce compagna, Gertrude: di fronte a certe forme di matrimoni che chiamerei avvilenti per la loro superficialità, l’unione di Bepi e Gertrude è semplicemente meravigliosa.

Ma qui, certamente per esigenze didattiche, la narrazione si ferma al ritorno di Bepi dalla prigionia e all’inizio della sua fondamentale attività. É un lavoro che si legge volentieri (compresi gli inserti). Le lettere dei fanciulli, poi, andrebbero commentate una per una: un giudizio in proposito richiederebbe tutto un ampio discorso di psicologia, per vedere quanto, della vita di Bepi marini, è rimasto nella mente dei giovanissimi lettori.

 

 

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